Tonelli- Luci ( aprile 2011) un pensiero notturno…niente più
Tonelli: Cara Cecilia, Esiste forse una connessione tra le aggregazioni dei playmobil e quelle delle costellazioni familiari (di cui so solo ciò che mi hai accennato ieri)? In fondo si tratta in entrambi i casi di persone che si riuniscono a formare un piccolo o grande gruppo sociale con l’intento di comunicare. Nel caso dei playmobil tutto è un simulacro, perturbante, inespressivo, sterile, in quello delle costellazioni familiari al contrario è carico della provvisorietà, del calore e delle esitazioni.
Luci:
Caro Marco,
Certo che vi è una connessione, i playmobil che playmobil non sono, vengono innanzitutto “usati” da Bert Hellinger nelle costellazioni individuali per individuare, a seconda della loro disposizione, i problemi che hanno determinato blocchi, irretimenti ecc. e sono a mio avviso un feticcio a rappresentanza del paziente, carico di una valenza emotiva e di un potere magico spirituale.
Perciò sei sicuro che questi pupazzi siano inespressivi e sterili, immobili e non portatori di memorie?
Hanno anch’essi vita propria, una loro nascosta verità, un’energia vitale che li spinge a celare o a portare alla luce inconsce verità, attinte dal campo morfogenetico, specchio dei gruppi nelle costellazioni quanto del singolo.
Quando li osservo nelle mie vasche in cui li immergo, io sono in divenire con loro, fluttuo con o attraverso i miei pupazzi, osservo i movimenti costellatòri attraverso di loro, le dinamiche nascoste che ci regolano e i liquidi nei quali li immergo, non rappresentano altro che l’inconscio ed il movimento occulto che ci spinge nella vita. A volte ancora bagliori nella mente che devono essere collocati in una realtà creativa.
Tonelli:
Cara Cecilia,
ancora più bello questo scavare dentro l’animo (non) sterile di quei pupazzi di plastica rigida e vederne un’energia vitale da portare alla luce. “E infine uscimmo a riveder le stelle” citato a memoria ma il senso è quello.
Del resto statue e statuine votive sono quei playmobil ancora non infusi da scintille vitali: è una storia comune (Adamo era una scultura di argilla inizialmente). Quindi perché no? Uno specchio inerte di una coscienza che non sa se potrà esserlo o di esserlo.
Del resto ce l’hai nel nome il destino: “luci” (bagliori) in divenire. L’uovo è sterile finché non è fecondato, così quei playmobil, che poi riportano all’infanzia e quindi a qualcosa di passato, irreversibile, lontano ma ancora da risolvere e forse da rianimare se non rivivere.
Luci:
Bagliori, luci… ombre. L’una la faccia opposta dell’altra. Esseri inanimati che mimano vite umane e con esse virtù e debolezze. Ogni famiglia di playmobil è regolata da legami segreti, gli “ordini dell’amore”. Ogni famiglia tanto quanto l’umanità, ogni sistema, come per i miei pupazzi che la interpretano, possiede un campo di coscienza collettivo che va oltre quello individuale.
Un campo che muove al di là della mente che mente e che imprigiona la volontà, che spinge affinché la verità sia portata a galla, perché tutti noi viviamo immersi in campi di informazioni a cui costantemente attingiamo e che ci condizionano profondamente: i campi morfogenetici appunto.
I playmobil vivono perciò di vita propria, forse riflessa, cercano una strada ed un ordine, un posto nello spazio. Il loro posto, ad immagine e somiglianza di chi rappresentano, proprio perché vi entrano in risonanza.
E in qualche modo io, o chi li dispone apre il varco dei suoi segreti a loro e gli cede il passo in quel recinto magico, affinché venga anche trovato il proprio giusto posto, la giusta collocazione all¹interno del gruppo. Perché tutti viviamo di appartenenza, e senza di essa si osserva il rifiuto e l’esser scollegati.
Tonelli:
E se quella giusta collocazione non la trovassero? Del resto apparentemente non sembrano avere forza per agire. E i segreti dei legami (legami segreti) possono rimanere tali per sempre e nessuno lo saprà mai.
Allora mettiamola in altro modo: quelle figure sono simulazioni di legami coscienze e individualità reali, forse addirittura uno specchio di esse (quella che chiami la faccia opposta) quando esse non funzionano, quando i legami reali sono solo finzioni e vuoti d’esistenza, quando lo stare insieme non è altro che un muto parlare senza più oggetti di desideri. Una coppia che non sa più parlare ad esempio, due amici che non sanno più capirsi, un gruppo numeroso di persone sole (una folla solitaria).
Allora sì che queste piccole metafore di plastica si fanno carico di nostri problemi reali. Assumendo quasi una funzione magica, apotropaica, arcaica, esorcizzante. Feticci di comunicazioni impossibili o ancora da attivare: ottimisti o senza speranza?
Luci:
Uhmm…
E se invece riflettendo dinamiche nascoste, simulando gruppi umani volessero fargli il verso ed in modo ancestrale, atavico, ripristinare un ordine che facesse fluire energie e realtà nuove?
Se volessero portar alla luce, ricordi inconsci, familiari, ad ognuno il suo, e muovere un tentativo di ripristinare il sé?
Mi chiedo se nulla se pur caotico sia casuale.
Se il mio disporli, accompagnarli, osservarli, se la mia-loro immersione non sia specchio del mio vissuto inconscio, e come del mio, rappresentativamente di quello “dell’altro”.
L’altro tu… l’altro loro. Io come te.
In ogni caso, come ti spiegavo sopra, loro trovano forza attingendo informazioni da quel campo morfico in cui tutti siamo immersi, in quei campi di informazioni cui attingiamo e che ci condizionano: i campi morfogenetici.
Una ricerca di dinamiche spunto di riflessione e motore di un nuovo percorso, dare vita alla staticità da loro stessi (i pupazzi) cosi bene esasperata ed interpretata.
Atavismi collegati al campo nel quale si muovono una volta disposti, districando quei legami che irrazionalmente vengono passati e tramandati alle discendenze e trasmessi dalla tradizione (come per le tribù indigene: vedi gli studi di Hellinger in Africa, sull’osservazione delle quali ha basato le costellazioni familiari) campi di coscienza sentiti, vissuti come inspiegabili, reconditi, appunto fuori da un campo di razionalità (forse ho perso il filo della matassa, e nella mia ricerca per ritrovare la strada, mi son persa con loro).
Ma vibrano e ascolto e osservo la loro attenzione, l’attenzione che vogliono suscitare, risvegliare, per fami vedere e accedere ad una potente parte di me.
Tonelli:
Ecco, proprio quello che ti avrei chiesto: quanto raccontano e dicono e rappresentano del tuo vissuto personale e passato?
Ma qui è il limite oltre il quale l’opera e la sua interpretazione non devono andare, altrimenti il fatto diventa privato e non più estetico.
L’importante è che si intuisca che ci siano dinamiche sotterranee e questo è venuto alla luce. E che tu possa osservare quella potente parte di te che un’opera d’arte esprime senza dire.
Comunque a mio parere si tratta più di una perdita di sé irrimediabile e irrecuperabile, simile al dramma di Harry in Riunione di famiglia di Eliot, che ti consiglio di leggere (ieri sera leggendolo ti ho pensato).
Un abbraccio
Luci:
Già, quanto vi è del mio?
Non trovi che in un’opera vi sia sempre qualcosa di profondamente privato?
Involontariamente, non aspettandomi questa domanda, te l’ho dichiarato prima.
Non trovi che tutto ciò che viene creato da un fotografo o da un pittore non racconti altro che della sua vita e delle proprie ossessioni, quanto del punto di osservazione personale rispetto alla realtà oggettiva?
Gli studi o ciò su cui tutti noi scegliamo di porre l’attenzione influenzano necessariamente il nostro campo di interazione e il nostro linguaggio.
In ogni caso, almeno per il lavoro sulle costellazioni che attinge al concetto della risonanza morfica e ai movimenti che ne conseguono, scelgo istintivamente d¹esser portata verso il racconto, che in qualche modo mi traina e che in parte è legato al mio passato.
Tonelli:
Poi tra l’altro se hai fatto l’attrice per tredici anni avrai forse avvertito la separazione tra il tuo essere e il tuo apparire, la tua personalità e quella finta di altre donne che hai impersonato. Ecco, da questa discrepanza tra essere te stessa e essere altri nasce il distacco del sé, il vedersi da fuori come un estraneo, come un anima che non ti appartiene. Come un oggetto?
Ma le mie sono solo congetture perché non ho mai fatto l’attore e non so bene cosa si provi a fingere di essere un altro.
Luci:
Parlare della mia esperienza di attrice potrebbe indurre in confusione… un oggetto? Finzione? Anche i ruoli che ho interpretato, per quanto creazioni della fantasia, diventavano reali e in qualche modo parte di un qualcosa che risuonava dentro di me, perché anche lì esisteva un campo dal quale attingevo informazioni per creare il personaggio, che fosse realmente esistito o meno. D’altro canto un’attrice non è in parte colei che sceglie di farsi portare da un regista? Un condottiero che, nel lavoro Costellazioni, potrebbe richiamare l’idea di una coscienza superiore che ordina e ripristina.
Certo le costellazioni familiari e i pupazzetti che rappresentano il gruppo costellatorio, sono come un’apparente messa in scena di uno psicodramma (ah se mi sentisse Hellinger !), dove il ripristino o lo sciogliere un nodo permette all¹individuo, riattualizzando un dramma, di prenderne distacco e passare a una fase successiva della propria vita, purificata dalle influenze che lo ostacolavano.
Per ripristino del sé invece, intendo un sé di gruppo, nelle costellazioni come per i miei playmobil, tutto è in-sieme, gruppo, poiché l’altro è un’altra parte di noi necessariamente non scollegabile, un sé inteso universalmente come materia di agglomerazione.
Nel mio lavoro io dirigo l’orchestra e sono prima osservatrice -a mia volta osservata- poi, solo dopo, compositrice involontaria dell’opera. Ma non c è solo del mio, c’è del tuo e anche del loro vissuto.
C’è, per ognuno che vi vede parte di sé. E quel sé è un sé di comunanza, di ripristino, anche di ciò che si è perduto.
Tonelli:
Ecco la funzione che io definisco magica e ancestrale dell’opera d’arte, direi astrologica in senso positivo, influenza e simbolo di un’influenza a distanza…
Immagino che questi tuoi pensieri vengano da prima dei playmobil…
Luci:
Forse li ho con me da sempre. Il processo creativo che germoglia nella materia nasce prima, molto tempo prima, nel mondo delle idee, nella mente o in un luogo non luogo ove in ogni caso risiede la coscienza che ci sospinge a mostrare l’essenziale… e la fase embrionale ad un certo punto trova il suo fulgore.
Ps.: ti toccherà fare il curatore di questa mostra se dovessimo continuar cosi… è solo un’idea… tranquillo… ma ovviamente ne sarei felice.
Tonelli:
Come le idee platoniche, pure e perfette non contaminate dalle imperfezioni umane.
Curatore o no, per ora abbiamo praticamente tirato giù un testo direi, da rivedere ma mi sembra sensato, che dici?
Luci:
Dico evviva!
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